"Nessuno sostiene una lotta più dura di colui che cerca di vincere se stesso". L'atleta che incontra una disabilità nel corpo fa esperienza di una diversità che spaventa e che si accompagna ad un vissuto di sofferenza. Non si è abituati a pensare all'atleta come ad un uomo disarmato dinanzi ad un'esperienza che traumatizza e produce senso di perdita, handicap, menomazione. Più facilmente leghiamo lo sport alla salute, al benessere psico-fisico, al senso di onnipotenza, più che di impotenza. La vulnerabilità è insita nella condizione di disabilità, intesa non propriamente come perdita di forza e di funzionalità, quanto come disagio, limite e dismorfofobia. Essere disabili significa essere diversamente abili, o meglio diversamente sani e quindi portatori di una diversità che non va considerata e vissuta come un peso, ma come una risorsa che può essere valorizzata e messa al servizio della prestazione e della competizione sportiva. La disabilità, esattamente come l"abilità, è un·esperienza. Non è del corpo, ma della conoscenza e coscienza del corpo. La disabilità abita la mente più che il corpo. Una disabilità che sfida il narcisismo e gli stereotipi di "perfezione", perché recuperi la leggerezza, che non è superficialità ma libertà di movimento che nessun handicap o disabilità può impedire.

Sofia Tavella. Psicologa e psicoterapeuta per l'infanzia e l'adolescenza, socia AIPS (Associazione Italiana Psicologia dello Sport), consulente dell'Istituto di Medicina e Scienza dello sport, docente di Psicologia dello sport e di Psicologia dell'handicap e riabilitazione presso la Scuola di Scienze Motorie dell'Università di Urbino.

Tavella, S. (2012). Psicologia dell'handicap e della riabilitazione nello sport. Roma: Armando.

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